TRIBUNALE DI ALESSANDRIA 
 
    in composizione collegiale nelle persone dei magistrati: 
        dott.ssa Luisa Camposaragna - Presidente est; 
        dott. Stefano Tacchino - Giudice; 
        dott.ssa Federica Cerutti - Giudice onorario, 
    alla pubblica udienza del 25  ottobre  2017  nel  procedimento  a
carico di S. G. nato a .... il ... elettivamente domiciliato ex  art.
161 c.p.p. presso l'avv. Erika Rapetti del foro di Alessandria  dalla
quale e' difeso di fiducia, imputato dei seguenti reati: 
        a) artt. 256 comma 1 lettere a e  b  decreto  legislativo  n.
152/2006  perche'   effettuava   illecitamente   e   comunque   senza
autorizzazione sul  terreno  agricolo  di  proprieta'  sito  in  ...,
censito a N.C.T . al foglio n. ... , mappale n.  ... ,  attivita'  di
raccolta e di gestione -  recupero smaltimento, di  rifiuti  speciali
pericolosi e non pericolosi (... ) in particolare smaltiva i  rifiuti
interrandoli nel terreno agricolo  di  proprieta'  (interessando  una
superficie di mq. 30-40 circa) omettendo cosi di avviarli a  regolare
recupero e smaltimento  come  previsto  dal  decreto  legislativo  n.
152/2006 e s.m.i. - fatti commessi nel Comune di e accertati in  data
22 agosto 2013; 
        b) artt. 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n  .  895  e  successive
modifiche poiche' deteneva illegalmente  all'interno  del  garage  di
proprieta' sito in , nr. 1 fucile monocanna marca Beretta calibro  24
avente  matricola  illeggibile,  nr.   1   fucile   doppietta   marca
artigianale calibro 12 avente  matricola  nr.  329  e  nr.  1  fucile
doppietta marca Prandelli e Gasperini calibro 12 avente matricola nr.
11542, le ultime due armi di proprieta' del fratello S. E. ; 
        fatti commessi nel Comune di e accertati in  data  22  agosto
2013 . 
        c) artt. 56-610 c. p. poiche' minacciando M.... M....  di  un
male ingiusto e grave dicendole che  le  avrebbe  sparato  se  avesse
denunciato i fatti alle competenti autorita', compiva atti  idonei  e
diretti in modo non equivoco a costringere M. ... M. ... ad  omettere
di denunciare alle forze dell'ordine i fatti di cui ai superiori capi
1 e 2 non riuscendo nell'intento per  cause  indipendenti  dalla  sua
volonta', in particolare perche' la  persona  offesa  si  determinava
comunque a sporgere denuncia al personale del Corpo  Forestale  dello
Stato, prima mediante segnalazione telefonica il 20 giugno 2013 e poi
con dichiarazioni rese il 23 giugno 2013. - fatti commessi in  ... il
20 giugno 2013. 
    In esito alla perizia balistica disposta dal  Tribunale  a  norma
dell'art. 507 codice di procedura penale  all'esito  dell'istruttoria
orale,  (affidata  al  Stefano  Conti  e  da  questi  depositata   in
cancelleria il 19 aprile 2017), e' emerso che i  tre  fucili  oggetto
del capo b) di imputazione erano da considerarsi armi da  sparo  atte
all'impiego e che uno dei tre - il fucile monocanna basculante, marca
Berretta, modello 412 calibro 24 - recava la matricola abrasa  e  non
gia'  meramente  illeggibile,  come  riferito  nel  corso  dell'esame
dibattimentale dall'ufficiale di p.g. procedente al sequestro. 
    All'esito della perizia e dunque sulla base di prove  emerse  nel
corso dell'istruzione dibattimentale e ignote al momento di esercizio
dell'azione penale, il pubblico ministero all'udienza del  26  aprile
2017 ha integrato i capi di accusa, con riferimento al citato  fucile
monocanna basculante Beretta modello 12, calibro 24, arma  comune  da
sparo atta all'impiego, recante matricola abrasa, come segue: 
        d) delitto p. e p. dall'art. 23 comma 3 della legge 18 aprile
1975 n. 110 e successive modifiche, perche' deteneva all'interno  del
garage di sua proprieta' sito in ..., un fucile monocanna basculante,
marca Berretta modello 412 calibro 24  (arma  comune  da  sparo  atta
all'impiego) con matricola  abrasa,  da  considerarsi  pertanto  arma
clandestina perche' sprovvista dei numeri  idonei  ad  identificarla;
Fatti commessi in Comune di ... ed accertati in data 22  agosto  2013
(epoca del rinvenimento e del sequestro dell'arma); 
        e) del delitto p.e p. dall'art. 648  codice  penale  perche',
fuori dai casi di concorso nel presupposto reato di alterazione della
matricola dell'arma di cui infra e al fine di procurare a se' e/o  ad
altri un profitto, acquistava o comunque riceveva  da  terze  persone
rimaste ignote  un  fucile  basculante  marca  Berretta  modello  412
calibro 24 (arma comune da  sparo  atta  all'impiego)  con  matricola
abrasa (da considerarsi pertanto arma clandestina perche'  sprovvista
del numeri idonei  ad  identificarla),  detenendola  all'interno  del
garage di sua proprieta' sito in .... 
    Fatti commessi in localita' ed epoca sconosciute e  accertati  in
Comune di in data 22  agosto  2013  (epoca  del  rinvenimento  e  del
sequestro dell'arma). 
    Il verbale contenente le imputazioni sub d)  ed  e)  elevate  nel
corso del giudizio e' stato quindi notificato all'imputato assente ed
il processo, a norma dell'art. 520 codice  di  procedura  penale,  e'
stato  rinviato,  con  contestuale  sospensione   del   dibattimento.
Adempiuto l'incombente, alla successiva udienza del  12  luglio  2017
l'imputato  S.  ... G.  ... ,  a  mezzo  del   difensore   costituite
procuratore speciale, relativamente alle sole imputazioni elevate nel
corso del giudizio concernenti il fucile Berretta ex articoli  648  e
23 legge n. 110/1975, ha chiesto che il processo fosse  definito  con
il gatteggiamento e ha formulato istanza nei termini che seguono: 
        determinarsi la pena base per il reato piu' grave ex art. 648
codice penale in anni due di reclusione ed euro 600,00 di multa; 
        concedersi le circostanze attenuanti generiche e  ridursi  la
pena ad anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 400,00 di multa; 
        aumentarsi la pena ex art. 81 cpv codice penale per il  reato
di cui all'art. 23 comma 3 legge n. 110/1975 ad anni uno, mesi sei di
reclusione ed euro 600,00 di multa; 
        ridursi detta pena, per la diminuente  connessa  alla  scelta
del rito, ad anni uno ed euro 400,00 di multa; 
        richiesta subordinata alla concessione  del  beneficio  della
sospensione condizionale della pena. 
    Il pubblico ministero ha negato  il  consenso,  dal  momento  che
entrambe le contestazioni suppletive sono scaturite da  prove  emerse
nel corso del processo e non gia' dalle risultanze  investigative  ai
propri atti; trattasi dunque di nuove contestazioni «fisiologiche»  e
non patologiche dirette cioe' a supplire ad un errore  rispetto  alle
risultanze  investigative,  tanto  che  solo  attraverso  la  perizia
disposta nel corso del dibattimento era possibile  accertare  per  la
prima volta che il fucile Berretta, presentava matricola abrasa e non
gia' meramente illeggibile  per  l'usura  del  tempo,  come  riferito
dall'ufficiale di p.g. Trattandosi di  contestazioni  fisiologiche  e
non  patologiche,  ha  obiettato  il  pubblico  ministero,  esse  non
consentono la remissione in  termini  per  il  patteggiamento,  sulla
scorza dei principi di cui  alla  sentenza  Corte  costituzionale  n.
265/1994. 
    Il Tribunale, su accodo delle parti, ha proceduto allo stralcio e
definizione limitatamente ai capi a) e c) della rubrica,  concernenti
rispettivamente le contravvenzioni in materia di rifiuti e il delitto
di tentata violenza privata in danno di M.  ... M.  ... ,  del  tutto
avulsi dalle accuse concernenti  le  armi;  sicche'  all'esito  della
discussione ha emesso sentenza  assolutoria  per  il  capo  c)  e  di
condanna per la sola contravvenzione di cui al capo a). 
    I rimanenti capi b), d) ed e), (gli ultimi due contestati in  via
suppletiva a norma dell'art. 517 codice di procedura penale  in  base
alla  perizia  espletata  nel  corso  del  dibattimento)   concernono
addebiti distinti ma connessi a norma  dell'art.  art.  12  comma  1,
lett. b) codice di procedura penale;  essi  sono  espressione  di  un
unico disegno criminoso e tra essi il Tribunale  ravvisa  il  vincolo
della continuazione. 
    Cio' premesso, reputa il Tribunale che l'istanza di  applicazione
della pena proposta dalla difesa con riferimento ai capi d) ed  e)  -
pur essendo altrimenti  accoglibile,  non  sussistendo  elementi  per
pronunciare una sentenza di proscioglimento ex  art.  129  codice  di
procedura penale, essendo corretta la  qualificazione  giuridica  dei
fatti, congrua la pena indicata - pur tuttavia  non  sia  ammissibile
alla luce del diritto  processuale  vigente.  Vi  osta,  infatti,  la
preclusione ricavabile dal combinato  disposto  degli  articoli  446,
primo comma, c.p.p. che, per  consolidata  giurisprudenza,  subordina
l'esercizio di tale facolta', a pena di decadenza,  al  rispetto  del
termine della discussione all'udienza preliminare - e 517  codice  di
procedura penale, che non prevede una «rimessione  in  termini»  onde
poter effettuare la richiesta  di  patteggiamento  nel  caso  in  cui
intervenga la contestazione di fatti emersi per la  prima  volta  nel
corso  dell'istruzione  dibattimentale,  seppur  connessi  a   quelli
originariamente contestati a norma dell'art. 12  commma  1  lett.  b)
codice di procedura penale.  Nel  caso  concreto  si  versa,  invero,
nell'ipotesi della c.d. «nuova contestazione fisiologica», diversa da
quella c.d. «patologica», trovando quest'ultima  fondamento  in  atti
acquisiti nella fase  delle  indagini  preliminari  e  gia'  noti  al
pubblico ministero al momento di esercizio dell'azione penale. 
    Verificata pertanto la rilevanza della  disciplina  normativa  de
qua per la decisione del caso di specie, reputa il Tribunale  che  la
stessa, nella parte in  cui  preclude  all'imputato  la  facolta'  di
avanzare istanza di patteggiamento in relazione al fatto  concorrente
oggetto di contestazione suppletiva «fisiologica»  -  disciplina  non
suscettibile  di  contraria   interpretazione   secondo   consolidato
orientamento giurisprudenziale sollevi fondati dubbi di  legittimita'
costituzionale per violazione del diritto di difesa (art. 24, secondo
comma, della Costituzione), nonche' del principio di eguaglianza  dei
cittadini davanti alla legge e del  principio  di  ragionevolezza  in
rapporto alla differente disciplina processuale riservata  ad  eguali
situazioni (art. 3 della Costituzione). 
    La giurisprudenza elaborata in materia dalla Corte costituzionale
ha preso le  mosse  dall'affermazione  secondo  cui,  a  dibattimento
iniziato,  nel  caso  di  un'eventuale   modifica   dell'imputazione,
l'impossibilita' di beneficiare dei  vantaggi  connessi  all'adozione
dei riti speciali fa parte delle «regole del gioco», note alle  parti
processuali, le  cui  conseguenze  sfavorevoli  potevano  e  dovevano
essere previste ex ante e di cui, dunque, non  ci  si  puo'  ex  post
dolere, poiche' l'imputato il quale non abbia optato nei termini  per
i riti / premiali «non ha che da  addebitare  a  se'  medesimo  le  i
conseguenze della propria scelta» (Corte costituzionale 593 del 1990,
277 del 1990 e 316 del 1992). Detto primo orientamento interpretativo
faceva       leva       sull'indissolubilita'       del       binomio
«premialità-deflazione», rilevando come l'interesse dell'imputato  ai
riti alternativi potesse trovare tutela solo nella prospettiva di una
effettiva sequenza  procedimentale  che,  evitando  il  dibattimento,
garantisse l'obiettivo di una rapida definizione del processo. 
    La casistica via, via emersa ha pero'  mostrato  come  la  rigida
applicazione di  tale  principio  comportasse,  talvolta  conseguenze
inaccettabili sul piano  della  ragionevolezza  e  della  tutela  del
diritto  dell'imputato  ad  operare  liberamente  le  proprie  scelte
difensive. 
    Pertanto la Corte con la successiva sentenza n. 265 del 1994, nel
caso di contestazioni dibattimentali tardive, e'  pervenuta  rispetto
al patteggiamento ad una diversa conclusione, ritenendo che in questo
caso  non  potesse  parlarsi  di  una  libera  assunzione  da   parte
dell'imputato del rischio  di  una  nuova  contestazione  durante  il
dibattimento, dato che le sue determinazioni in  ordine  alla  scelta
del rito risultavano di fatto sviate  da  una  condotta  anomala  del
pubblico ministero. Sicche' in caso di incompletezza dell'imputazione
formulata  rispetto  agli   elementi   gia'   acquisiti   nel   corso
dell'indagine preliminare, la Corte costituzionale ha  insegnato  che
non puo' «parlarsi, in simili vicende, di una libera  assunzione  del
rischio del dibattimento  da  parte  dell'imputato»;  e  poiche'  «le
valutazioni dell'imputato circa  la  convenienza  del  rito  speciale
vengono a dipendere anzitutto dalla  concreta  impostazione  data  al
processo dal pubblico ministero (...)  quando,  in  presenza  di  una
evenienza patologica  del  procedimento,  quale e'  quella  derivante
dall'errore sulla individuazione del fatto e del titolo del reato  in
cui e' incorso  il  pubblico  ministero,  l'imputazione  subisce  una
variazione  sostanziale,  risulta  lesivo  del  diritto   di   difesa
precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali». 
    Con riferimento all'istituto del patteggiamento, e' stata  dunque
dichiarata la «illegittimita' costituzionale degli articoli 516 e 517
codice di procedura penale  nella  parte  in  cui  non  prevedono  la
facolta' dell'imputato di  richiedere  al  giudice  del  dibattimento
l'applicazione di pena a norma  dell'art.  444  codice  di  procedura
penale,  relativamente  al  fatto  diverso  o  al  reato  concorrente
contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un
fatto  che  gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine   al   momento
dell'esercizio  dell'azione  penale,  ovvero  quando  l'imputato   ha
tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta  di  applicazione
di pena in ordine alle originarie imputazioni» (Corte costituzionale,
sentenza n. 265/1994). 
    In tempi piu' recenti - con  una  pronuncia  «additiva»  relativa
all'art. 517 codice di procedura penale - e' stata inoltre rimossa la
preclusione a definire il processo con l'applicazione della  pena  su
richiesta «in seguito alla  contestazione  nel  dibattimento  di  una
circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di  indagine  al
momento dell'esercizio  dell'azione  penale»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 184/2014). 
    Con  riferimento  al  rito  abbreviato,  dopo  iniziali  pronunce
d'inammissibilita' - sulla scorta del  quadro  normativo  murato  per
effetto della legge 16 dicembre 1999  n.  479,  che  ha  diversamente
delineato l'istituto e che,  in  talune  ipotesi,  ha  consentito  la
definizione con tale rito di procedimenti  ormai  giunti  nella  fase
dibattimentale - la Corte costituzionale con la sentenza n.  333/2009
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli  articoli  516  e
517 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedevano la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del  dibattimento  il
giudizio  abbreviato  relativamente  al  fatto  diverso    al   reato
concorrente   contestati   in   dibattimento,   «quando   la    nuova
contestazione concerne un fatto che  gia'  risultava  dagli  atti  di
indagine al momento di esercizio dell'azione penale» Con la  sentenza
n.  333/2009  e  la  successiva  n.  139/2015  -  che  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art.  517  codice  di  procedura
penale nella parte in cui non prevede la facolta'  di  richiedere  il
giudizio abbreviato con riferimento al reato  per  il  quale  vi  sia
stata suppletiva contestazione di una circostanza aggravante che gia'
risultava dagli atti al momento di esercizio dell'azione penale -  la
Corte ha dunque parificato le situazioni  del  patteggiamento  e  del
giudizio  abbreviato,  rimuovendo   l'originaria   preclusione   alla
facolta'  di  richiedere  i  suddetti  riti  speciali  in  corso   di
dibattimento  con  esclusivo  riferimento  alle  c.d.  «contestazioni
patologiche». 
    In rapporto  invece  alle  cc.dd.  «contestazioni  fisiologiche»,
quelle   volte   ad   adeguare    l'imputazione    alle    risultanze
dell'istruzione  dibattimentale,  con  la  sentenza  n.  237/2012   -
superando l'indirizzo interpretativo successivo all'entrata in vigore
del  codice  di  rito  -  la  Corte  costituzionale   ha   dichiarato
costituzionalmente  illegittimo  per  violazione  del  principio   di
uguaglianza e del  diritto  di  difesa  (articoli  3  e  24  comma  2
Costituzione) l'art. 517 codice di procedura penale, nella  parte  in
cui  non  consentiva  all'imputato  di  chiedere   al   giudice   del
dibattimento il giudizio abbreviato per il reato  concorrente  emerso
nel corso dell'istruttoria dibattimentale e  divenuto  oggetto  della
nuova contestazione. 
    In particolare e' stato qui  decisamente  svalutato  il  criterio
della  «prevedibilita'»  da  parte  dell'imputato  della   variazione
dibattimentale  dell'accusa,  osservando  in  generale   come   detto
criterio «in quanto  fenomeno  connaturale  ad  un  sistema  di  tipo
accusatori,  presenti  intrinseci  margini  di  opinabilita',  specie
rispetto alla contestazione fisiologica di un reato concorrente»; 
    «non si potrebbe  pretendere  -  ha  osservato  la  Corte  -  che
l'imputato valuti la convenienza di un rito speciale, tenendo  conto,
non soltanto  della  possibilita'  che  a  seguito  del  dibattimento
l'accusa  vanga  diversamente  descritta  o   aggravata,   ma   anche
dell'eventualita' che alla prima accusa ne venga aggiunta una  nuova,
sia pure connessa» (cfr Corte costituzionale n. 237/2012). 
    La medesima  conclusione  e'  stata  poi  adottata  nel  caso  di
contestazione fisiologica del fatto diverso, non  essendosi  ritenuto
sufficiente a differenziare il trattamento normativo il  rilievo  che
in questo caso (e a differenza dell'ipotesi  della  contestazione  di
reato concorrente) esisteva sin dall'inizio l'imputazione che avrebbe
consentito la tempestiva richiesta del rito speciale. 
    Con la sentenza n. 273 del 2014  la  Corte  ha  cosi'  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art.  516  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di
richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato per  il
fatto diverso emerso  nel  corso  dell'istruzione  dibattimentale  ed
oggetto della nuova contestazione. 
    Ma anche sul terreno del patteggiamento la Corte e' addivenuta ad
analoga pronuncia  additiva  con  riguardo  all'art.  516  codice  di
procedura penale, in un caso di contestazione fisiologica  del  fatto
diverso, nel corso del dibattimento. 
    Si tratta della recentissima pronuncia n. 206 del 17 luglio 2017,
ove il giudice delle leggi ha ritenuto estensibili alla richiesta  di
patteggiamento formulata  nel  corso  del  dibattimento  in  caso  di
mutamento  della  contestazione  a  norma  dell'art.  516  codice  di
procedura penale, le argomentazioni gia' fatte  proprie  sul  terreno
del  giudizio  abbreviato,  per  ribadire  che,   in   seguito   alla
contestazione ancorche' fisiologica del  fatto  diverso,  «l'imputato
che subisce la nuova contestazione viene a trovarsi in una  posizione
diversa  e  deteriore  quanto  alla  facolta'  di  accesso  ai   riti
alternativi e alla fruizione della correlata diminuzione  di  pena  -
rispetto a chi, della stessa  imputazione,  fosse  stato  chiamato  a
rispondere  fin  dall'inizio.   Infatti   condizione   primaria   per
l'esercizio di difesa e' che l'imputato abbia ben  chiari  i  termini
dell'accusa mossa nei suoi confronti e cio' vale,  non  solo  per  il
giudizio abbreviato,  ma  anche  per  il  patteggiamento.  In  questo
procedimento    infatti    la    valutazione     dell'imputato     e'
indissolubilmente legata, ancor piu' che nel giudizio abbreviato alla
natura dell'addebito, trattandosi, non solo di avviare una  procedura
che permette di  definire  il  processo  al  di  fuori  e  prima  del
dibattimento, ma di determinare lo stesso contenuto della  decisione,
il  che  non  puo'  avvenire  se  non  con  riferimento  ad  una  ben
individuata fattispecie penale» (cfr Corte Costituzione  n.  206  del
2017, che  richiama  ampiamente  Corte  Cast.  237/2012,  273/2014  e
265/1994). 
    In altre parole quando l'accusa muta nei suoi aspetti  essenziali
non possono non essere restituiti all'imputato termini  e  condizioni
per  esprimere  le  proprie  opzioni,   ivi   compresa   quella   del
patteggiamento. Cio' in  quanto  la  modifica  dell'imputazione  puo'
incidere in  modo  significativo  sulla  fisionomia  dell'accusa  con
riflessi sulla  entita'  della  pena  irrogabile  e  sulla  incidenza
quantitativa dell'effetto premiale della scelta. 
    Cosi'   opinando   la   Corte   costituzionale   ha    dichiarato
l'illegittimita' dell'art. 516 codice di procedura penale nella parte
in cui non prevedeva la  facolta'  dell'imputato  «di  richiedere  ai
giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma  dell'art.
444 codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso emerso
nel corso dell'istruzione dibattimentale,  che  forma  oggetto  della
nuova contestazione» (Corte  costituzionale  n.  206  del  17  luglio
2017). 
    Anche  in  quest'occasione  e'  stato  ribadito  che   condizione
primaria per l'effettivita' del diritto di difesa e'  che  l'imputato
abbia ben chiari i termini dell'accusa mossa nei suoi confronti,  con
la conseguenza che non puo' rimanergli preclusa  in  seguito  ad  una
modifica fisiologica dell'imputazione la facolta'  di  richiedere  il
patteggiamento solo perche', non avendolo richiesto prima, si sarebbe
assunto il rischio di una simile evenienza. La Corte ha  ribadito  il
criterio gia' fatto proprio in tema di  giudizio  abbreviato  con  la
sentenza  n.  273/2014,  secondo  cui  non  si  puo'  pretendere  che
l'imputato valuti la convenienza di un rito  speciale  tenendo  conto
anche  dell'eventualita'  che,   a   seguito   di   futuri   sviluppi
dell'istruzione dibattimentale,  l'accusa  a  lui  mossa  subisca  un
trasformazione la cui portata e' del  tutto  imprecisata  al  momento
della scadenza del termine utile per la formulazione della  richiesta
di riti alternativi. 
    Pertanto anche nel caso in cui, come nella fattispecie  concreta,
all'accusa originaria ne venga aggiunta un'altra connessa secondo  la
nozione desumibile dall'art. 12 comma i lett. b) codice di  procedura
penale, gli stessi  criteri  dovrebbero  condurre  alla  restituzione
dell'imputato in  termini  e  condizioni  per  esprimere  le  proprie
opzioni con riferimento all'accusa suppletiva. 
    Peraltro, come per il giudizi abbreviato, anche la  richiesta  di
patteggiamento postula necessariamente l'esercizio dell'azione penale
in  relazione  ad  uno  specifico  fatto-reato.   E   nel   caso   di
contestazione  suppletiva  cio'  avviene  solo  quando  il   pubblico
ministero procede alla contestazione stessa, sia o meno essa  fondata
sulle acquisizioni dibattimentali o sugli atti di indagine. Sicche' -
come gia' ritenuto riguardo al giudizio abbreviato  (n.  237/2012)  -
precludere  il  patteggiamento  in   relazione   alla   contestazione
suppletiva elevata nel corso del  dibattimento,  significherebbe  far
dipendere  il  novero  delle   opzion   difensive   da   una   scelta
discrezionale del pubblico ministero, quale  quella  di  procedere  a
contestazione suppletiva nel processo  in  corso,  oppure  esercitare
separatamente l'azione penale, ammettendo in tal  caso  l'imputato  a
recuperare l'opzione del rito. 
    Questo Tribunale dubita dunque della legittimita'  costituzionale
dell'art. 517 codice di procedura  penale  nella  parte  in  cui  non
prevede la facolta' dell'imputato  di  richiedere  il  patteggiamento
relativamente al reato concorrente emerso nel  corso  dell'istruzione
dibattimentale, che  forma  oggetto  della  contestazione  suppletiva
anorma dell'art. 12 comma i lett. b) c.p.p... 
    Sulla base delle osservazioni  sopra  svolte,  la  preclusione  a
fruire dei vantaggi connessi al patteggiamento sembra conclusivamente
tradursi: in una compressione dei diritti di difesa dell'imputato  al
quale non puo' essere addebitata  alcuna  colpevole  inerzia,  ne'  -
secondo il piu' recente indirizzo della giurisprudenza costituzionale
-  possono  essergli  attribuite  le  conseguenze  negative   di   un
prevedibile  sviluppo  dibattimentale  il  cui  rischio   sia   stato
liberamente assunto; ed invero  l'opzione  per  l'applicazione  della
pena su richiesta delle parti - secondo il  consolidato  orientamento
del Giudice delle leggi costituisce una delle modalita' di  esercizio
del diritto di difesa (tra le altre Corte costituzionale, sentenze n.
219/2004, n. 70/1996, n. 497/1995, n. 76/1993) e condizione  primaria
per l'esercizio del diritto di difesa e'  che  l'imputato  abbia  ben
chiari  i  termini  dell'accusa  mossa  nei  suoi  confronti   (Corte
costituzionale n. 237/2014,  n.  273/2014  e  n.  206/2017),  sicche'
l'esclusione della facolta' di richiedere il patteggiamento  rispetto
al reato connesso  contestato  per  la  prima  volta  nel  corso  del
dibattimento a norma dell'art. 517 codice di procedura penale si pone
in  sospetta  violazione   dell'art.   24,   secondo   comma,   della
Costituzione; 
    in una disparita' di trattamento tra l'imputato al quale, sin dal
primigenio esercizio dell'azione penale, siano contestati  tutti  gli
addebiti con piena possibilita' di optare per un rito  alternativo  e
l'imputato che invece - a causa delle carenze nelle  indagini  o  per
altra  casuale  ragione  -  si  sia  visto   muovere   un'imputazione
incompleta, affronti il giudizio e in  conseguenza  dall'acquisizione
dei relativi elementi di prova  in  corso  di  dibattimento,  subisca
l'imputazione di un reato connesso  a  norma  dell'art.  12  comma  1
lettera b) codice di procedura penale, senza poter  piu'  fruire  dei
benefici del rito premiale.  Anche  in  rapporto  alla  contestazione
fisiologica del fatto connesso vale, quindi, il rilievo di fondo, per
cui   «l'imputato   che   subisce   una   contestazione    suppletiva
dibattimentale viene a trovarsi in posizione diversa  e  deteriore  -
quanto alla facolta' di accesso ai riti alternativi e alla  fruizione
della correlata diminuzione di pena - rispetto  a  chi  della  stessa
imputazione  fosse  stato  chiamato  a  rispondere  sin  dall'inizio»
(cosi',  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  237/2012  in  tema  di
giudizio abbreviato). La rilevata  disparita'  si  pone  in  sospetta
violazione dell'art. 3 Cost.; 
    Nell'irragionevolezza di una disciplina  processuale  venutasi  a
delineare in seguito alla sentenze additive Corte costituzionale  nn.
530/1995 e 237/2012, in base alla quale, nel  caso  di  contestazione
c.d. «fisiologica» del reato connesso a norma dell'art. 517 codice di
procedura penale, e' consentito all'imputatc  recuperare  i  vantaggi
propri di alcuni riti speciali, ma non de patteggiamento: il giudizio
abbreviato, ammesso a partire dalla sentenza additiva /  n.  237/2012
con la quale la Corte ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 517 codice di procedura  penale  nella  parte  in  cui  non
prevedeva la facolta' dell'imputato  di  richiedere  al  giudice  del
dibattimento  il   giudizio   abbreviato   relativamente   al   reato
concorrente  emerso   nel   corso   dell'istruzione   dibattimentale;
l'obiezione, conseguente invece della sentenza nn. 530/1995,  con  la
quale  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato   costituzionalmente
illegittimi gli articoli 516 e 517 codice di procedura  penale  nella
parte in cui non prevedevano la facolta'  dell'imputato  di  proporre
domanda di obiezione  relativamente  al  fatto  diverso  e  al  reato
concorrente contestati in dibattimento, e cio' indipendentemente  dal
carattere «patologico» o «fisiologico» della nuova contestazione.  In
altre parole l'attuale assetto normativo in tema di patteggiamento si
connota per una irragionevole assimetria rispetto a  quello  valevole
per il giudizio abbreviato e per l'oblazione, nella parte in cui  non
consente l'applicazione della  pena  su  richiesta  delle  parti  con
riferimento al reato concorrente contestato  a  norma  dell'art.  517
codice  di  procedura  penale,  assimetria  anch'essa  potenzialmente
lesiva dell'art. 3 Cost. 
    Posto che il graduale allargamento delle facolta' accesso ai riti
speciali nei casi  sia  di  modifica  dell'imputazione  in  corso  di
dipartimento che di contestazione di reato connesso a norma dell'art.
12 comma 1 lett. b) codice di procedura penale, e' sempre avvenuto in
forza di pronunce  della  Corte  costituzionale  che  hanno  via  via
verificato l'insussistenza,  di  valide  ragioni  per  conservare  le
preclusioni  poste  dal  codice  di  rito,  reputa  questo  Tribunale
preclusa  nel  caso  concreto  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata della vigente disciplina,  dovendosi  invece  sollevare  la
questione di legittimita' e  rimettere  al  Giudice  delle  leggi  la
valutazione circa la conformita' di essa al quadro costituzionale  di
riferimento come piu' sopra delineato.